Don Cesare, quel prete di periferia che difendeva Borgo Montello
LINDA BANO - ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA
28 marzo 2022 •
La mattina del 30 marzo 1995 l’anziano parroco venne trovato nella sua canonica sdraiato sul letto, “incaprettato” (mani e piedi legati da una corda che passava anche intorno al collo), con un cerotto intorno alla bocca, massacrato di botte; la morte era stata provocata dalla sua stessa dentiera che gli si era conficcata in gola in seguito ad un potete colpo.
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata alle persone meno note uccise dalla mafia e il cui numero cresce di anno in anno. Dal 1961 si contano circa 1031 vittime innocenti.
La figura del parroco ricopre spesso, nei paesi italiani, come un ruolo importante per la comunità, diventando punto di riferimento per i cittadini. Ad esso si rivolge chi ha problemi, dubbi, riflessioni o, a volte, anche segreti da confidare.
Lo sapeva bene Don Cesare Boschin, nato a Trebaseleghe, in provincia di Padova, l’8 marzo 1914 e ordinato sacerdote all’età di 28 anni, quando, dopo aver esercitato il suo magistero in molti paesi del nord Italia, venne collocato a Borgo Montello, frazione del comune di Latina, dove rimase per 40 anni.
Nel paese laziale la comunità aveva bisogno di parlare, confidarsi, ma anche confrontarsi con chi aveva rapporti e amicizie potenti. Don Cesare era perfetto, potendo vantare rapporti con alti esponenti della Democrazia Cristiana romana ed essendo sempre disponibile ad aiutare chi aveva bisogno.
I cittadini erano preoccupati per certi movimenti strani e certi odori sospetti che provenivano dalla zona della discarica. Ma non potevano parlare apertamente, non solo perché i gestori delle discariche sovvenzionavano i partiti, le associazioni, i giornali e le squadre di calcio della zona, ma anche perché la gestione dei rifiuti nel territorio era notoriamente in mano alla Camorra. La potente organizzazione mafiosa, infatti, aveva posto in Lazio una delle sedi dei suoi traffici illeciti, che le procuravano fiumi di denaro sporco.
Don Cesare Boschin, di fronte alle inquietudini dei suoi fedeli, non rimase inerte; non avrebbe potuto, lui non era fatto così. Quando vedeva un’ingiustizia, interveniva; quando i suoi concittadini avevano bisogno, lui li aiutava, qualunque fosse il problema. E non si tirò indietro nemmeno davanti al traffico di rifiuti tossici, altamente inquinanti e pericolosi per la salute umana, gestito dai clan camorristi a Borgo Montello. Nonostante gli ottant’anni d’età e il cancro ai polmoni, sostenne il comitato cittadino che aveva l’obiettivo di chiedere un intervento pubblico sulla discarica e prese appunti, numeri di targhe, orari, nomi di aziende che trasportavano rifiuti e scattò fotografie. Sollecitò l’intervento della politica e si rivolse persino al capitano dei carabinieri, rivelandogli quanto aveva saputo: tutto inutilmente. Espresse tutta la sua preoccupazione e il suo disappunto anche dal suo pulpito, in chiesa, la domenica, durante la messa, davanti a tutta la comunità locale e a quegli stranieri, sempre più numerosi, dal forte accento meridionale, che si stavano trasferendo nella zona.
Per il suo attivismo, per il suo non volersi fermare davanti a niente, nemmeno di fronte alle intimidazioni, alle minacce, ma anche per le sue aperte prese di posizioni anti Camorra, Don Boschin venne atrocemente punito.
LEGATO COME UN CAPRETTO
La mattina del 30 marzo 1995 l’anziano parroco venne trovato nella sua canonica sdraiato sul letto, “incaprettato” (mani e piedi legati da una corda che passava anche intorno al collo), con un cerotto intorno alla bocca, massacrato di botte; la morte era stata provocata dalla sua stessa dentiera che gli si era conficcata in gola in seguito ad un potete colpo. Nella sua stanza, messa a soqquadro mancavano soltanto le sue agende, il frutto di tutte le sue ricerche, mentre al loro posto erano le piccole somme di denaro che conservava.
Le indagini batterono dapprima la pista di un incontro omosessuale degenerato, poi si conclusero sommariamente dichiarando avvenuta un’aggressione a scopo di rapina ad opera di tre balordi polacchi poi rientrati frettolosamente nel proprio Stato. Il caso venne chiuso e, qualche anno dopo, i reperti raccolti nella scena del crimine vennero pure distrutti.
Dopo il tremendo omicidio, la popolazione perse il suo punto di riferimento e il comitato si sciolse: la malavita potè, indisturbata, continuare la sua attività illecita almeno per altri 20 anni, quando la dichiarazione di un pentito del clan dei Casalesi, Carmine Schiavone, fece accertare la presenza di pericolosi rifiuti tossici di derivazione industriale nella discarica di Borgo Montello, dando inizio, finalmente, a un’indagine. Vennero così motivati i tanti, troppi tumori di cui erano vittime gli abitanti del territorio e si riuscì a ipotizzare che cosa ci fosse sotto quella alta collina di un verde un po’ strano sorta in mezzo alla pianura.
Ad oggi, la discarica continua ad esistere, dopo essere stata persino ampliata mentre i responsabili del brutale assassinio del parroco sono ancora senza un volto e senza un nome, nonostante i continui appelli della famiglia Boschin perché chiunque sappia qualcosa, parli.
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5 MARZO 2022
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Chi ha ucciso
don Cesare Boschin, il prete incaprettato e soffocato con la dentiera?
Chi ha ucciso don Cesare Boschin? Sono passati 24 anni da
quella tragica notte, ma la morte del parroco di Borgo Montello rimane ancora
senza colpevoli. Don Cesare si batteva contro i traffici di rifiuti tossici
smaltiti illegalmente dalla camorra nel suo territorio. Tuttavia, questa pista
non è mai stata seguita fino in fondo dagli inquirenti. “E’ stato ucciso con il
metodo mafioso – ha affermato a Fanpage.it Isabella Formica, la nipote del
sacerdote – . Ci furono perfino le “stese” di camorra per intimidire chi era
della zona. E oggi lì si muore ancora di tumori e malattie”.
“Mio zio è stato
assassinato secondo le modalità della camorra. Lo hanno trovato nel suo letto,
privo di vita. Il corpo martoriato dalle botte. Le ossa frantumate.
Incaprettato come un animale destinato al macello. La bocca sigillata con
nastro adesivo come a sottolineare il fatto che avesse parlato troppo”.
Soffocato dalla sua protesi dentale, ritrovata in gola. A parlare è Isabella
Formica, la nipote di don Cesare Boschin, il sacerdote ucciso la notte tra il
29 e il 30 marzo 1995 a Borgo Montello, frazione alle porte di Latina. Un
omicidio ancora senza colpevoli, in cui si intrecciano gli interessi dei clan
camorristici di Casal di Principe, che proprio in quella zona dell’Agro pontino
hanno sversato per anni rifiuti pericolosi. “Mio zio dalla sua camera della
canonica – racconta Isabella Formica a Fanpage.it – poteva vedere gli
andirivieni notturni dei camion da e per la discarica dei veleni”.
Don Cesare Boschin nasce nel 1914 a Trebaseleghe, in
provincia di Padova. Arriva a Borgo Montello negli anni ’50 e – come ricorda la
nipote – “si sente un po’ in famiglia”. L’Agro pontino, infatti, è abitato da
tanti operai veneti chiamati a bonificare i territori paludosi del Basso Lazio.
“I fedeli lo amavano – sottolinea Formica – riponevano una grande fiducia in
lui. Aveva aiutato un po’ tutti a trovare un lavoro”.
La tranquillità di quelle terre agricole, tuttavia, non è destinata
a durare a lungo. Dal 1971, a Borgo Montello esiste una discarica di rifiuti
che con gli anni crescerà sempre di più. E presto diventa l’obiettivo degli
appetiti criminali della camorra. Come ha raccontato Carmine Schiavone, l’ex
cassiere del clan dei casalesi diventato poi collaboratore di giustizia, già
dagli anni ’80 l’organizzazione si interessa a Borgo Montello, Formia e gli
altri paesi della provincia di Latina. I clan acquistano masserie e terreni
dove iniziano a sversare rifiuti pericolosi di ogni tipo. Una “Terra dei
fuochi” a poco più di 60 chilometri da Roma. “Un business più redditizio della
droga – ha precisato Schiavone – possibile solo grazie agli intrecci tra
politica e malavita”.
Gli abitanti di Borgo Montello, però, cominciano a lamentarsi
degli odori nauseabondi che provengono dalla discarica. Sono allarmati anche
dagli strani movimenti di camion che arrivano di notte in paese. Decidono
quindi di formare un comitato che si ritrova proprio nella parrocchia
Santissima Annunziata di don Cesare. Il sacerdote partecipa di rado alle
riunioni. E’ anziano e un cancro ai polmoni lo costringe a passare gran parte
del suo tempo in camera. Sebbene malato, non rinuncia a stare dalla parte dei
suoi parrocchiani perché, dice, “i rifiuti inquinano non solo la terra ma le
coscienze”.
Don Boschin inizia ad annotare sulle sue agende il via via
sospetto di tutti quei camion. A guidare i mezzi sono spesso i ragazzi del
posto che, in cambio di lauti compensi, non hanno scrupoli a sversare rifiuti
tossici per conto dei camorristi. Il parroco, che quei giovani li conosce ad
uno ad uno, si rende conto delle infiltrazioni mafiose a Borgo Montello e
decide di informare un potente politico della Democrazia cristiana a Roma su
quanto sta accadendo. Ma allo stesso tempo ha paura. “La sera in cui venne
assassinato – continua Formica – aveva ricevuto la visita di don Mariano, il
parroco che era stato mandato a sostituirlo. Al momento dei saluti, lo zio lo
aveva pregato di tenergli compagnia, di non lasciarlo solo perché aveva paura
di morire”.
Verso le 9 del mattino del 30 marzo 1995, il corpo senza vita
di don Cesare Boschin viene ritrovato da Franca Rosato, la perpetua che come
ogni giorno è andata ad accudirlo. Davanti agli occhi della povera donna si
presenta una scena orribile: il sacerdote di 81 anni è sdraiato sul suo letto,
ha mani, piedi e collo legati. Un omicidio in stile mafioso. Il corpo è
ricoperto di lividi. La mascella fratturata. Le percosse subite gli hanno fatto
ingoiare la dentiera. “Morte per soffocamento” stabilirà l’autopsia.
“Chi lo ha ucciso ha voluto inscenare un furto mettendo a
soqquadro i cassetti della sua stanza”, precisa Formica. Nella prima fase delle
indagini, infatti, i carabinieri di Latina seguono esclusivamente la pista
della rapina finita male, opera di qualche balordo. Vengono ascoltati alcuni
tossicodipendenti e altri soggetti conosciuti per reati minori, ma senza che
emerga alcun indiziato. C’è un punto che fa riflettere: il denaro di don Cesare
non è stato sottratto. Al polso, inoltre, ha ancora l’orologio. A mancare,
invece, sono le agendine nelle quali il parroco annota tutto, compresi gli
strani traffici di camion che avvengono di notte a Borgo Montello.
Nessuno degli inquirenti mette in relazione l’omicidio del
sacerdote con la discarica. Eppure, qualche elemento ci sarebbe, visto che
proprio a ridosso del centro di smaltimento rifiuti vive Michele Coppola, di
Casal di Principe, all'epoca già noto alla polizia per detenzione di armi da
fuoco e per i suoi legami con i vertici del clan. Anche il successivo arresto
di Coppola – avvenuto il 5 dicembre 1995 nell'ambito dell'inchiesta “Spartacus”
– non spinge gli investigatori ad approfondire un eventuale coinvolgimento
della camorra nella morte di don Cesare.
Il 2 maggio 1996 vengono iscritti nel registro degli indagati
un sacerdote colombiano e un cittadino polacco senza fissa dimora, che il
giorno del delitto aveva lasciato precipitosamente Borgo Montello. Il
procedimento a loro carico, comunque, si conclude il 2 novembre 1999 con
l'archiviazione. E sull'omicidio di don Cesare cala il silenzio. “Ha
aiutato molta gente ma è stato dimenticato in fretta – si lamenta Formica – in
pochi si sono fatti avanti per denunciare i traffici illeciti di rifiuti, credo
per paura di finire come lui”. “Nei giorni seguenti al suo omicidio – prosegue
la nipote del prete assassinato – ci sono state delle sparatorie a Borgo
Montello. Colpi esplosi verso le abitazioni, suppongo per intimorire chi
potesse aver visto o sentito qualcosa”. Le chiameremmo stese di camorra,
oggi. “Oggi quel comitato contro l'inquinamento di quella zona è solo un
vago ricordo – ha detto Claudio Gatto, un amico di don Cesare – la sua
uccisione è stata determinante per la cessazione di tutte le attività delle
persone che ne facevano parte”.
Don Luigi Ciotti, il fondatore dell’associazione Libera,
ritiene che i mandanti e i responsabili diretti dell’uccisione dell’anziano
parroco “siano da cercare negli ambienti della criminalità organizzata e
dell’ecomafia”. E nel 2009, durante un convegno in cui è presente anche il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiede la riapertura
dell'inchiesta. “Chi sa deve parlare, perché a don Cesare, come alle altre
vittime della criminalità organizzata, dobbiamo verità e giustizia”, tuona il
presbitero e attivista contro le mafie. “Don Ciotti è stato uno dei pochi a
farsi carico del caso di mio zio – afferma Formica – purtroppo anche quella
volta le indagini sono state chiuse senza arrivare a scoprire nulla”.
Nel 2016, Stefano Maccioni, l’avvocato della famiglia
Boschin, fa riaprire il caso. Nuovi elementi come le tracce sul nastro adesivo
usato dal killer, le macchie di sangue su un asciugamano e il momento del
decesso (che andrebbe spostato indietro di alcune ore), inducono la procura di
Latina ad accogliere l’istanza del legale, assistito da un pool di specialisti.
“Nel 2001, con un’ordinanza del tribunale di Latina, sono stati distrutti i
reperti dell’omicidio”, dichiara l’avvocato Maccioni a Fanpage.it. “Abbiamo due
impronte però non ci sono più i reperti per cui non è stato possibile
realizzare l’esame del Dna”. E il caso della morte dell’anziano parroco viene
di nuovo chiuso.
A nutrire dubbi sulle indagini della morte di don Cesare,
infine, è la commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite
connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali. Nella relazione del
dicembre 2017, inoltre, si legge che “le indicazioni, anche se parziali,
fornite da alcuni testimoni su una eventuale pista investigativa riconducibile
ai traffici illeciti di rifiuti non venne seguita fino in fondo”.
Il ricordo di Don Cesare, simbolo della lotta alla mafia.
Chi ha ucciso don Cesare Boschin è ancora senza volto. Una
cosa è certa: il parroco veneto è diventato un simbolo della difesa
dell’ambiente contro la criminalità. A Borgo Montello, una piazza-giardino e
l’oratorio portano il suo nome. Ma è con il suo coraggio che don Cesare ha
lasciato il segno: nel piccolo centro laziale è sorto il presidio Sud Pontino
di Libera, intitolato alla sua memoria. Un modo per continuare la sua battaglia
contro gli interessi criminali dei clan camorristici. “Al di là della morte
orribile di mio zio – conclude Formica – rimane il fatto che gli abitanti di
Borgo Montello continuano a vivere accanto a rifiuti tossici. Tutte le famiglie
hanno avuto chi la madre, chi il figlio o un parente ammalati e morti di
cancro. E continuano a morire perché i rifiuti sono ancora là sotto”.
-------------------------------------------------------------------------------------------- 22 agosto 2017 - Latina
Delitto di Don Boschin, la verità nelle parole di un suo
stretto collaboratore?
Potrebbe essere Don Felipe la persona informata sui fatti che verrà ascoltata dopo la riapertura delle indagini sulla morte di Mons. Cesare Boschin, il coraggioso parroco di Borgo Montello, ucciso nel 1995. Don Felipe in quei giorni era uno stretto collaboratore dell’anziano prelato barbaramente ucciso, per cui la sua testimonianza potrebbe essere utile agli inquirenti. Monsignor Cesare ha sempre avversato la presenza della discarica di rifiuti a Borgo Montello, battendosi per anni in modo evidente e concreto.
Don Felipe nato a Jardin in Colombia nel 1948, e ordinato sacerdote nel 1975 a Medellin, si è trasferito una prima volta a Roma dal 1988 al 1990 per studiare e laurearsi in teologia biblica. Conseguita la laurea è ritornato nel suo paese ma nel 1991 viene accusato dalla polizia colombiana di essere un guerrigliero comunista e solo grazie all’aiuto del vescovo monsignor Eladio Acosta Arteaga, in collaborazione con l’allora vescovo di Albano monsignor Dante Bernini, trova riparo in Italia. Qui, dopo aver prestato servizio pastorale per quattro mesi a Borgo Montello nel 1995, diviene parroco nell’ottobre del 1991 della chiesa di San Giuseppe di Casalazzara dove rimane fino al febbraio 2002, data in cui viene trasferito nella chiesa dello Spirito Santo del quartiere Toscanini a Aprilia.
Latina Delitto di don Cesare Boschin, interrogatori della Dia di Napoli sui conti
correnti del parroco
Pubblicato
il 23 luglio 2017
·
di PAOLO IANNUCCELLI
Don Cesare
Boschin
Grosse novità riguardo la morte di
don Cesare Boschin, il parroco
del Montello, borgo alle porte di Latina. La Direzione Investigativa
Antimafia di Napoli, alla quale quale è affidato il caso dopo la
riapertura, starebbe interrogando alcune persone molto vicine al
sacerdote, un precursore di battaglie ambientaliste.
Sarebbero spuntati, dopo accurate
ricerche, due conti correnti bancari intestati al prelato sui quali sarebbero
state versate somme molto consistenti, cifre da fare riflettere attentamente gli
investigatori. Chi consegnò quel denaro al parroco? Chi aveva
interesse a compiere quel gesto? Una cosa è certa: il sacerdote non ha
speso nemmeno una lira di quei soldi, non risultano prelevamenti, non si è
arricchito. Il mistero è fitto ma gli investigatori – molto attivi e
competenti – stanno lavorando con estrema cura.
Era la mattina del 30 marzo 1995.
Delitto senza colpevoli per ora: la pista della rapina compiuta da balordi si
arenò. Ma adesso, al termine di una lunga battaglia di comitati civici e associazioni come Libera di don Luigi Ciotti, l’inchiesta
sull’omicidio di don Cesare Boschin, il prete «anti-discarica» massacrato a 80
anni nella sua parrocchia, torna alla ribalta.
Il riserbo sui nuovi elementi posti
all’attenzione della magistratura è alto, ma qualcosa è trapelato. Nell’ultimo periodo, il pool
costituito dall’avvocato di parte lesa Stefano Maccioni ed al quale collaborano
la criminologa Immacolata Giuliani, il medico legale Luigi Cipolloni e Lorenzo
Zanon, il sindaco di Trebaseleghe (Padova) paese di cui era originario don
Cesare, ha riesaminato le circostanze del delitto avvenuto nella chiesa di
Montello e concentrato l’attenzione su tre elementi: le tracce sul nastro
adesivo usato dal killer, le macchie di sangue su un asciugamano e il momento
del decesso, che andrebbe spostato indietro di alcune ore.
Don Cesare aveva il corpo ricoperto
da lividi, la mascella fratturata, la bocca incerottata. Morì per soffocamento.
Dalla canonica furono portate via le due agende del sacerdote e non 800mila
lire contenute nel portafoglio, particolare che fa prevalere altri moventi
rispetto a quello ipotizzato all’inizio, della rapina conclusa tragicamente. E’
stata colpita la coerente ed incessante linea del parroco nella battaglia
contro la discarica di Borgo Montello. Don Boschin aveva raccolto le
confidenze di parrocchiani che riferirono di fusti interrati di notte e di
alcuni genitori, insospettiti dal fatto che i figli avessero un’improvvisa
disponibilità di danaro al ritorno da viaggi a bordo di tir. «Speriamo di
vederci domani», diceva il prete a chi passava a salutarlo. Aveva paura. E’
stato facile profeta.
Il libro di Felice Cipriani “Quello strano delitto di don Cesare” sarà presentato a Roma il 7 novembre prossimo. Nelle pagine del libro-inchiesta sul giallo irrisolto dell’Agro Pontino, per il quale si continua a chiedere giustizia: don Cesare Boschin, parroco di Borgo Montello, fu brutalmente assassinato nella notte tra il 29 e 30 marzo 1995. Nelle pagine di Cipriani si ripercorre la vita e la morte del sacerdote “ecologico” che prima di tutti denunciò il traffico di rifiuti sui campi attorno dei suoi parrocchiani. E mentre i familiari di don Cesare hanno recentemente chiesto alla Procura di Latina di riaprire le indagini, potendo così accedere ai fascicoli dell’impolverata quanto inconcludente inchiesta, Cipriani continua la sua ricerca per la verità.
Il giornalista scrittore, infatti, ha contattato Calogero Piscitello che nel corso della XIII Legislatura presentò un’interrogazione ai ministri dell’interno, di Grazia e Giustizia, delle Finanze e dell’Ambiente per chiedere conto delle ragioni della sottovalutazione dell’impegno pastorale di don Boschin contro le presenze mafiose sul territorio e delle iniziative della comunità religiosa di Borgo Montello contro gli alti inquinamenti ambientali e politici determinati dalla discarica. Con la sua interrogazione Piscitello, ad un anno del delitto, chiedeva le ragioni del mancato risanamento ambientale di Borgo Montello e se fossero stati controllati gli atti relativi alle compravendite dei terreni per l’individuazione dei reali proprietari delle attività imprenditoriali ubicate a ridosso della discarica stessa e ancora se fosse corrisposta al vero la notizia secondo cui si sarebbe voluta realizzare nella stessa zona di Borgo Montello un mega-inceneritore per rifiuti urbani e speciali. Molti di questi interrogativi mantengono, a distanza di venti anni, la loro attualità non soltanto per la soluzione del giallo relativo all’assassinio del sacerdote ma anche per il destino degli abitanti di Borgo Montello. Cipriani è a caccia della risposta fornita dagli allora ministri interrogati dal deputato del gruppo misto.
La memoria di don Cesare Boschin è ancora viva nel borgo di Latina; negli ultimi anni il sacerdote, originario di Trebaseleghe in provincia di Padova, è diventato simbolo della lotta alle mafie.
Il 30 settembre scorso, Damiano Coletta, sindaco del capoluogo pontino, in un incontro con gli abitanti di via Monfalcone in cui si discuteva sul “ristoro” per la presenza della discarica, fonte di 40 anni di disagi, ha detto di voler intitolare un luogo, una strada o una piazza di Latina a don Cesare, paladino della legalità. Nota fuori testo: Ricordiamo al Sig. Sindaco Coletta che proprio a Borgo Montello esiste già un "Piazzale Mons. Cesare Boshin", con tanto di targa stradale ufficiale, a suo tempo inaugurato dall'allora Sindaco Zaccheo).
Ai Ministri dell'interno, di grazia e giustizia, delle finanze e
dell'ambiente. - Per sapere - premesso che: in data 30 marzo 1995, in
Borgo Montello, nel territorio del comune di Latina, sul quale insiste
da anni una discarica di rifiuti dell'intera provincia pontina, fu
assassinato il parroco, Don Cesare Boschin; a tutt'oggi non sono stati
individuati ne' il movente di tale assassinio, ne' i mandati, ne' gli
esecutori; era noto a tutti l'impegno pastorale di Don Boschin contro le
famiglie della criminalita' organizzata, che da anni investono i loro
capitali nel territori di Borgo Montello, zona vicina ai comuni di
Latina e di Aprilia, notoriamente ad alta densita' mafiosa; la presenza
su quel territorio della criminalita' organizzata e' caratterizzata da
precedenti episodi criminosi (si veda l'assassinio dell'avvocato Maio di
Aprilia) -: le ragioni della sottovalutazione dell'impegno pastorale di
Don Boschin contro le presenze mafiose sul territorio e delle
iniziative della comunita' religiosa di Borgo Montello contro gli alti
inquinamenti ambientali e politici determinati dalla discarica in
questione; le ragioni del mancato risanamento ambientale di Borgo
Montello; se siano stati controllati gli atti relativi alle
compravendite dei terreni per l'individuazione dei reali proprietari
delle attivita' imprenditoriali ubicate a ridosso della discarica
stessa; se risponda al vero la notizia secondo cui si vorrebbe
realizzare nella stessa zona di Borgo Montello un megainceneritore per
rifiuti urbani e speciali. (4-09212)
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Lettera
Ai giornali.
MAGGIO 2016
Perché l‘uccisione
di Don Cesare Boschin.
Da oltre un mese sulla stampa
locale della provincia di Latina viene riproposta la drammatica storia
dell’uccisione del parroco di Borgo Montello Mons. Cesare Boschin.
Complice il libro da me scritto
su quello “Strano Delitto”.
I cronisti nei loro articoli
hanno scritto molto sull’episodio dell’uccisione e di quella drammatica notte
del 30 marzo del 1995 e poco sulle circostanze che l’hanno determinata e cioè
la discarica.
Come si sa le terre che ospitano
discariche si tirano dentro tanti altri problemi. Oltre alle conseguenze
ecologiche e sanitarie, intorno al ciclo dei rifiuti sono girati milioni di
lire e girano milioni di euro che attirano la criminalità organizzata.
Secondo
il racconto di Carmine Schiavone, a Borgo Montello era nata la primaGomorradei rifiuti
industriali: per ogni bidone il clan riceveva cinquecentomila lire, ha
raccontato nel 1996 ai carabinieri. Fusti interrati almeno fino alla fine degli
anni ’80 diceva. E poi scarti dell’industria farmaceutica, come racconta Sergio
un cacciatore che scalava le montagne di fiale abbandonate per raggiungere le
prede.
Gli
abitanti di Borgo Montello si sono opposti alla discarica e al suo ampliamento
con petizioni, manifestazioni, cortei per il borgo. Hanno protestato presso le
istituzioni, preso le manganellate, sono stati ingannati dal sindaco del comune
di Latina, che si schierò davanti ai cancelli per protesta e dopo alcuni mesi
fece approvare una delibera che creava le condizioni per l’ampliamento della
discarica.
Più
di qualcuno ha perso la vita per forme di cancro e malattie la cui causa
sospetta è dovuta ai miasmi, al percolato, alle polveri e all’inquinamento
dell’aria e dell’acqua per via della discarica.
Don
Ciotti nella prefazione del libro dice che son partito da lontano, sì! Mi sono
soffermato, molto sulla storia e le vicende del territorio per far risaltare
ancor di più l’insensibilità e le responsabilità di chi l’ha governato e
amministrato, consentendo il deturpamento e il disastro ambientale di una zona
di grande valenza ambientale, e storico-culturale.
I
rifiuti al posto degli Etruschi, Volsci e Romani e della antica città di
Satricum, al posto del fascio/comunismo, i rifiuti al posto del martirio
cristiano, dell’epica battaglia del grano, al posto della bonifica, i rifiuti sui coloni
veneti e a confine di una città nuova, che in quanto tale poteva benissimo
organizzare un diverso modo per smaltirli. Per fare un quadro completo della discarica occorrerebbe un ricercatore
d’archivio che lavori mesi e mesi nel vagliare documenti, atti amministrativi
del comune di Latina, Regione Lazio, sentenze del Tar, Camere di Commercio di
mezza Italia, atti giudiziari, Asl, Enea, ecc. Nel mio libro ho dovuto
sintetizzare il tutto avvalendomi di studi e ricerche fatti da organizzazioni e
associazioni qualificate. Al di la delle carte di una cosa mi sono convinto, ed
è che tutto quello che ha ruotato attorno alla discarica sa di malaffare,
malcostume, ladrocinio, inquinamento del territorio e delle coscienze. Su Borgo
Montello vi è stato un accanimento di malcostume che ha visto coinvolte anche
le Istituzioni. Tutti hanno contribuito a stuprare questo territorio. Da
Industrie del Nord, del Sud e del Centro. A questo va aggiunto che le scelte
operate dalle pubbliche amministrazioni hanno solo favorito le infiltrazioni
malavitose che prendono il nome di camorra e mafia. E da qui che bisogna
partire per capire il perché della uccisione di Don Cesare Boschin. Su
Don Cesare si sono addensati sospetti immorali. Io ne ho ricostruito la storia
sin dalla sua giovinezza per far capire di che “qualità” era questo sacerdote e
quanto era il suo amore per la missione sacerdotale. Ho insistito sugli aspetti
dell’etica e della morale.
Felice Cipriani, scrittore della
Memoria. 338 8557967
Gli eroi sono tutti giovani e belli. Forse in pochi conoscono Don
Cesare perché aveva ben ottantuno anni quando fu assassinato nella sua
canonica a Borgo Montello, frazione rurale di Latina. La mattina del 30
marzo 1995 lo trovarono legato al letto e incaprettato, il corpo
ricoperto di lividi, la mascella fratturata. Le botte furono così tante
che gli fecero ingoiare la dentiera, fino a soffocarlo. “Prete ucciso
nel letto” titolò l’indomani il Corriere della Sera.
La storia fece clamore, poi rapidamente si spense. La memoria di Don
Cesare fu offesa, violentata e poi oscurata. Prima dissero: “E’ una
rapina finita male” ma i soldi delle offerte erano intatti. Poi
insinuarono la frequentazione di prostituti stranieri intrattenuti per
soldi. Un’autentica calunnia senza prove. Le indagini si arenarono in
fretta e non si arrivò neanche al processo.
Da anni stiamo percorrendo la difficile strada verso la GIUSTIZIA e la VERITA'. Un percorso che sta portando alla luce collegamenti a persone e fatti che a suo tempo furono coperti e sottaciuti. Ciò emerge dai documenti e dai filmati riportati anche sulle altre pagine di questo sito.
Il suo omicidio è tuttora irrisolto. Associazioni locali e movimenti nazionali come Libera ritengono che sia stato ucciso perché si oppose alle infiltrazioni della camorra nel Lazio.
Don Cesare è attivissimo: fonda l'Azione Cattolica e promuove diverse iniziative per i giovani del borgo.Cerca di alleviare la fame e la povertà, trovando lavoro agli sfollati o la terra per i contadini.
Nel corso degli anni sessanta per il suo attivismo deve subire attacchi e calunnie. Alla proposta del vescovo che vuole inviarlo in un'altra parrocchia per salvarlo dai pettegolezzi, don Cesare annuncia che preferisce restare a Borgo Montello e "portare la sua croce".
La mattina del 30 marzo 1995 il suo cadavere venne ritrovato incaprettato (con le mani e i piedi legati e una corda intorno al collo) dalla perpetua nella sua camera da letto.
Venne rinvenuto con il corpo ricoperto da lividi, la mascella e diverse ossa fratturate, la bocca incerottata. L'autopsia stabilì la morte per soffocamento provocato dalla dentiera ingoiata dal parroco per via delle percosse.
Gli assassini portarono via le due agende in cui don Cesare era solito annotare tutto, lasciando una preziosa croce in oro, il portafoglio del sacerdote che conteneva ottocentomila lire. Altri cinque milioni nascosti in un armadio furono rinvenuti due mesi dopo e donati - secondo le sue disposizioni - a Madre Teresa di Calcutta.
Le indagini furono inizialmente rivolte negli ambienti della tossicodipendenza. Si ritenne che don Cesare fosse stato ucciso dopo un tentativo di rapina andato a male da parte di alcuni ragazzi di una vicina comunità di recupero. Questa tesi fu sposata anche dall'allora vescovo di Latina, Domenico Pecile, nell'omelia del funerale.
La teoria della rapina non riuscì però a giustificare il fatto che i presunti ladri non avessero prelevato il denaro dalla canonica. Le inchieste, allora, puntarono ad approfondire alcuni voci che avevano iniziato a girare a Borgo Montello subito dopo l'omicidio: si diceva che don Cesare frequentasse gli ambienti gay clandestini della zona. La notte della sua morte, il parroco avrebbe ricevuto dei ragazzi per un incontro sessuale, ma la situazione era degenerata. Le voci furono prontamente smentite dai parrocchiani del borgo. La procura comunque fermò e interrogò alcuni giovani polacchi ma le indagini si conclusero quattro mesi dopo con l'archiviazione del caso. Il 29 luglio del 2009, durante un convegno a Roma don Luigi Ciotti chiese davanti al presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano la riapertura dell'inchiesta sulla morte di don Boschin. Il suo appello fu subito fatto proprio da diverse associazioni antimafia del Lazio, nonché dall'Azione Cattolica della diocesi di Latina e dall'Agesci pontina. Don Ciotti si era fatto portavoce a livello nazionale delle richieste di un gruppo di cittadini di Borgo Montello che legava la morte del loro parroco ai traffici di rifiuti tossici smaltiti illegalmente dalla camorra in una vicina discarica. Traffico che è stato confermato negli anni da numerosi pentiti e che ha ritrovato riscontri dopo il ritrovamento nell'estate dello stesso anno di rifiuti tossici interrati nella zona.
Nei mesi precedenti alla morte di don Cesare, la popolazione residente nei dintorni della discarica, per protestare contro strani miasmi che si erano intensificati nel tempo, aveva costituito un comitato di protesta. Il parroco aveva accettato di ospitare il comitato nei locali della chiesa. Il comitato, nelle sue richieste di legalità e giustizia, iniziò a sospettare traffici illeciti nel territorio. I sospetti trovarono le prime conferme dopo la denuncia di uno dei giovani disoccupati locali impiegati dalla criminalità organizzata per trasportare i rifiuti nella discarica. Don Cesare e il comitato civico riuscirono a convincere l'allora sindaco di LatinaAjmone Finestra a richiedere l'analisi del terreno per rilevare eventuali contaminazioni. Il comitato iniziò a subire le prime ritorsioni per la sua battaglia: nel borgo comparvero scritte minacciose, le case di alcuni membri furono oggetto di sparatorie, lo stesso don Cesare subì diverse intimidazioni. Una settimana prima dell'omicidio, il parroco si sarebbe recato a Roma per chiedere la fine dei traffici ad alcuni politici della ormai disciolta Democrazia Cristiana, alla quale si era rivolto in passato per trovare lavoro ad alcuni suoi parrocchiani. Successivamente avrebbe incontrato il capitano provinciale dei carabinieri per le stesse ragioni. La sua morte sarebbe stata quindi una vendetta della criminalità organizzata per stroncare la protesta dei residenti. In effetti, subito dopo l'omicidio, il comitato si sciolse e sulla discarica scese il silenzio. Le stesse modalità della morte, con l'incaprettamento tipico degli omicidi mafiosi, sarebbero secondo Libera una conferma della pista camorristica. Alla sua morte sarebbe legato anche l'omicidio dell'avvocato Enzo Mosa a Sabaudia il 2 febbraio del 1998. In una recente intervista a Lazio Tv, il pentito di camorraCarmine Schiavone ha sostanzialmente confermato che "Don Cesare è stato ucciso per questi motivi, perché aveva capito qualcosa".
.......l'esame della realtà economica e dei risultati ottenuti dalle locali Forze di Polizia portano a ritenere "a rischio" di infiltrazione mafiosa lo smaltimento dei rifiuti e le costruzioni edili in generale - con specifico riguardo alla movimentazione terra, asfalti, bitumi e cemento. La provincia pontina, inoltre, è interessata dall'operatività di sodalizi criminali capaci di condizionare le procedure amministrative per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni nel settore commerciale ed edilizio nonché le gare per l'assegnazione di appalti pubblici»;in questo
contesto è fondamentale ricordare quello che accadde il 29 marzo 1995 in
provincia di Latina quando venne ucciso il parroco di Borgo Montello, dove ha
sede la grande discarica di rifiuti della provincia di Latina e di alcuni
comuni del sud di Roma, Don Cesare Boschin. Il parroco, ottantunenne, fu ucciso
in modo barbaro, soffocato con la propria dentiera conficcata nella gola dopo
essere stato aggredito selvaggiamente, legato mani e piedi e imbavagliato con
il nastro adesivo, con ai suoi piedi un asciugamano sporco del suo sangue.
Anomalo risulta ancora il fatto che in seguito all'aggressione violenta nei
riguardi di don Cesare Boschin non furono portati via denari pure presenti
nella stanza dell'aggressione ma due agende non più ritrovate. Un omicidio
condotto con una modalità chiaramente mafiosa, denso di segnali inquietanti e
rimasto a tutt'oggi senza movente, autori e mandanti, per il quale anche Don
Ciotti, presidente di Libera, ha chiesto la riapertura delle indagini. Non
certo un omicidio per rapina, considerando che il portafogli del parroco era
ancora intatto vicino al suo corpo con all'interno ben 800 mila lire. È con
ogni probabilità infatti che la morte dell'anziano parroco sia avvenuta in
seguito alle sue denunce relativamente al traffico notturno internazionale di
rifiuti tossici che coinvolgevano la discarica, condotto per mezzo delle
tristemente note «navi dei veleni». Si ricorda che questi sospetti furono
confermati dalle dichiarazioni rese dal pentito Carmine Schiavone -:
se non ritengano opportuno destinare maggiori risorse per l'organico delle
forze dell'ordine e degli strumenti tecnologici e mezzi loro necessari per
contrastare il fenomeno del radicamento delle mafie e dei loro interessi nel
tessuto economico, sociale e politico della provincia di Latina, anche alla
luce del caso ancora irrisolto dell'efferato omicidio di don Cesare Boschin
anche con l'obiettivo della creazione in loco di una sede distaccata
della divisione investigativa antimafia e della Dda; se non ritengano
necessario attivare un controllo serrato da parte degli organi di vigilanza e
controllo sia sul sistema degli appalti, delle concessioni e delle consulenze
in tutti i comuni della provincia pontina e sulla stessa amministrazione
provinciale, sia sull'azione imprenditoriale condotta dalle numerose
cooperative agricole dell'agro pontino, in particolare quelle presenti nei
comuni di Formia, Fondi, Sperlonga, Terracina, San Felice Circeo, Sabaudia e
Latina e sui titolari delle medesime.
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